Diritti d'autore © Studio Associato Pironti Laratro 2018
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Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria nei confronti di una società leader nel settore della vigilanza privata con riguardo alle differenze retributive dovute per il riconoscimento degli AFAC (Anticipi sui futuri aumenti contrattuali) nonché per il corretto calcolo delle maggiorazioni per lavoro straordinario feriale e festivo effettivamente svolte dal lavoratore.
Le tesi giuridiche sostenute nel ricorso sono state interamente accolte dal Tribunale, il quale ha disposto che le differenze retributive maturate dal nostro assistito dovessero essere corrisposte dalla società come quantificate in ricorso.
Tribunale di Milano n. 127.2024.pdf
Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria nei confronti di una cooperativa sociale operante nel settore dell’assistenza socio sanitaria ed assistenziale.
Nello specifico, la lavoratrice nostra assistita avanzava richieste di pagamento di differenze retributive dovute per effetto dello svolgimento di mansioni inquadrabili in un livello superiore del CCNL applicato al rapporto di lavoro rispetto al livello di formale inquadramento.
Il Giudice del lavoro ha accolto la tesi del ricorso, supportata dalle prove testimoniali rese in giudizio, riconoscendo alla lavoratrice nostra assistita i diritti per cui aveva agito in giudizio e condannando la cooperativa sociale e la Fondazione che appaltava la prestazione di servizi in solido a corrisponderle le somme richieste.
Tribunale di Milano n. 4440.2024.pdf
Il nostro Studio ha ottenuto tre importanti vittorie, contro un’azienda leader nel settore di produzione di riferimento, per tre lavoratori adibiti a mansioni di vigilanza privata.
In particolare, i tre lavoratori lamentavano il diritto a vedersi corrispondere somme retributiveconseguenti all’errato calcolo che l’azienda effettuava sia circa l’incidenza (nella complessiva retribuzione mensile) della a quota di retribuzione destinata all’acconto sui futuri aumenti contrattuali, sia circa il compenso da doversi prendere a riferimento per il lavoro straordinario.
Nello specifico, se da un lato con riferimento all’acconto sui futuri aumenti contrattuali l’azienda immotivatamente non ricomprendeva l’incidenza di tale voce in quella della retribuzione normale da corrispondersi ai lavoratori (dovendo invece essere ricompresa negli elementi fissi della retribuzione), dall’altro lato con riferimento alle modalità di calcolare il compenso per il lavoro straordinario doveva essere usato il diverso divisore (rispetto a quello illegittimamente utilizzato dall’azienda) della retribuzione richiesto dallo Studio, così da aversi quel dovuto aumento della quota di retribuzione richiesto a tale titolo.
In giudizio, sono state accolte sia la nostra impostazione, sia le argomentazioni sostenute al riguardo, ed il Giudice del lavoro ha condannato l’azienda a corrispondere ai nostri assisiti le somme richieste in ragione delle omissioni in cui era incorso il datore di lavoro.
Sentenza Tribunale Milano n. 2599_2023.pdf
Sentenza Tribunale Milano n. 2803_23.pdf
Sentenza Tribunale Milano n. 3282_23.pdf
Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria a favore di una lavoratrice dipendente di un ente pubblico che avanzava richieste di pagamento di differenze retributive avendo svolto mansioni inquadrabili in un livello superiore (rispetto a quello di formale inquadramento) del contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro.
Il Giudice del lavoro ha accolto la tesi del ricorso ed i fatti in esso dedotti, riconoscendo alla lavoratrice nostra assistita i diritti per cui aveva agito in giudizio e condannando l’ente convenuto a corrisponderle le somme richieste.
Sentenza Trbunale Varese n. 58_2023.pdf
Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria riuscendo nuovamente a ribaltare in secondo grado una sentenza che in primo grado non aveva accolto le domande della nostra assistita.
In particolare, la lavoratrice lamentava che, pur essendo per anni stata “reperibile” anche al di fuori dell’orario di lavoro per l’esecuzione delle sue mansioni (in particolare connesse al coordinamento delle attività di un dato settore aziendale) e pur avendo, quindi, concesso all’azienda la propria disponibilità ad evadere ogni richiesta di intervento al di fuori dell’orario di lavoro, non le era stato riconosciuto il corrispondente trattamento retributivo espressamente previsto dall’accordo integrativo aziendale.
Ebbene, in secondo grado, appunto riuscendo ad ottenere una pronuncia di integrale riforma della sentenza di primo grado (e riuscendo a far ottenere alla nostra assistita il trattamento retributivo richiesto), il nostro Studio è riuscito a far “rileggere” alla Corte d’Appello tanto la formulazione della norma contrattuale, quanto le testimonianze assunte in primo grado, quanto, ancora, i documenti prodotti nel giudizio, convincendo il Giudice della fondatezza della tesi per cui una volta data la prova della reperibilità (e cioè dei continui contatti e della continua ricerca da parte dell’azienda, al di fuori dell’orario di lavoro, della lavoratrice allo scopo di sottoporle questioni da risolvere afferenti al suo ruolo direttivo) non poteva che essere riconosciuta anche la retribuzione per ciò prevista dalla contrattazione collettiva.
La sentenza è importante perché consolida, anche sulla scia dei principi espressi dalla Corte Europea di Giustizia, che ogni forma di reperibilità, da intendersi quale situazione in cui si trovi il lavoratore che deve rimanere pronto ad intervenire ed evadere richieste dell’azienda al di fuori dell’orario di lavoro, proprio perché volta a privare il lavoratore del proprio tempo libero, va equamente retribuita (anche se non determina una vera e propria attività lavorativa).
Ad ogni modo, il risultato è quello per cui l’adita Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto le nostre tesi ed ha condannato l’azienda a corrispondere alla lavoratrice nostra assistita il cospicuo e considerevole trattamento retributivo dovuto.
Sentenza C.A. Roma n. 551_2022.pdf
Il nostro Studio ha ottenuto un’importantissima vittoria all’esito di un’estenuante percorso processuale che nell’arco di dieci anni (e con ben sette giudizi) ci ha visti vincere per ben due volte in Cassazione prima di vedere accogliere le domande, le pretese e le doglianze dei nostri assistiti dalla Corte d’Appello di Milano all’esito del secondo giudizio di rinvio.
In particolare, si assistevano due lavoratori che erano stati assunti con contratti di lavoro di apprendistato ed all’esito degli stessi non erano stati confermati in servizio e quindi licenziati.
Lo Studio, sin dall’inizio, aveva (tra le altre ragioni)n impugnato i contratti di apprendistato ritenendoli illegittimi dal momento che, contrariamente al chiaro disposto dell’articolo 49 del decreto legislativo n. 276/2003, erano stati firmati prima i contratti di lavoro e cinque giorni dopo i progetti formativi, ciò determinando: i) che non vi era stata simultanea sottoscrizione dei documenti in questione (lo si ribadisce: i contratti di lavoro ed i progetti formativi); ii) che i progetti formativi,invece di essere contenuti all’interno dei contratti di lavoro, erano contenuti in documenti esterni agli stessi.
I vari Giudici di merito che si erano interessati della vicenda non avevano colto l’importanza di tale doglianza, la quale, lungi dall’integrare un una mera petizione di principio formalistico, in realtà era direzionata a garantire la tutela per ciò prevista tanto dal tenore letterale della normativa in esame, quanto dallo spirito che la contraddistingueva (riferito all’obiettivo di evitare facili aggiramentidell’obbligo di assumere con ordinari contratti di lavoro subordinati).
Ebbene, dopo anni ed anni di battaglia giudiziaria, la causa è stata vinta da ultimo davanti alla Suprema Corte, la quale, come al solito attentissima a valutare la violazione delle norme di diritto al di là di facili e scontati approcci sostanzialistici, ha colto l’importanza della doglianza al riguardo esposte dallo Studio accogliendone le argomentazioni ed enunciando il principio di diritto - cui poi la Corte d’Appello (alla quale è stata rinviata la causa per la decisione di merito finale) ha dovuto uniformarsi - che ha di fatto riprodotto la nostra tesi.
Ed il principio, appunto, è quello per cui in tema di contratti di apprendistato (ai fini della loro validità): i) deve esserci simultanea sottoscrizione dei contratti di lavoro e dei progetti formativi; ii) dal momento che il progetto formativo deve essere contenuto ed indicato all’interno del contratto di lavoro.
I contratti di apprendistato sono stati, quindi, ritenuti illegittimi, i rapporti di lavoro sono stati dichiarati come ordinari rapporti di lavoro subordinati sin dal principio e sono stati pertanto ritenuti illegittimi i licenziamenti in esame; il datore di lavoro di lavoro è stato così condannato alla reintegrazione in servizio dei ricorrenti ed al pagamento delle retribuzioni perse dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione in servizio.
Partita finisce quanto arbitro fischia, diceva il mitico Vujadin Boskov; mai arrendersi fino alla fine, diciamo noi.
Corte D'Appello di Milano Sentenza n. 881_2023.pdf
Continua l’incessante attività del nostro Studio in difesa degli operatori che lavorano all’interno delle R.S.A., in favore dei quali, questa volta, si è conseguita un’importante vittoria che garantisce e garantirà a tali lavoratori di recuperare (e non farsi più sottrarre) tutte le retribuzioni non pagate dalla Cooperativa datrice di lavoro in relazione al cosiddetto “tempo di vestizione/svestizione” della divisa di lavoro.
I nostri assistiti, infatti, ogni giorno sul luogo di lavoro dovevano (e devono) vestire e svestire la divisa necessaria all’esecuzione delle loro attività di cura delle persone ricoverate in struttura, e tale vestizione e svestizione dovevano (e devono) effettuarla, per espressa disposizione del datore di lavoro, in un luogo interno ai locali aziendali ma non vicino ai piani dove si svolgeva (e svolge) la prestazione; ciò che comportava una presenza anticipata (rispetto all’orario di inizio) e posticipata (rispetto all’orario di fine turno), che a sua volta comportava periodi temporali di presenza in servizio extra-turno necessari a vestire e svestire le divise di lavoro e tuttavia mai retribuiti.
Il nostro Studio, facendo ribadire il principio giurisprudenziale che ciò sancisce, ha dunque ottenuto una sentenza con cui il Giudice del lavoro ha condannato la cooperativa datrice di lavoro a corrispondere a tutti i nostri assistiti le retribuzioni per tutti i periodi giornalieri in cui gli stessi hanno dovuto (e dovranno), al fine di vestire e svestire le divise di lavoro, trovarsi e rimanere sul luogo di lavoro prima e dopo il loro turno.
Tribunale di Milano 13.04.2021.pdf
Con la sentenza in questione, resa all’esito di un giudizio di opposizione instaurato dall’ex datore di lavoro contro il decreto ingiuntivo che si era richiesto (ed era stato emesso) in favore del nostro assistito, il nostro Studio ha conseguito un’importante vittoria in giudizio per l’importanza dei principi che in accoglimento delle proprie tesi giuridiche sono stati espressi nella sentenza in questione, peraltro spendibili in tutti i casi di cambio di appalto come quello interessato alla relativa vicenda.
In particolare, da un lato si è riusciti a far passare il principio per cui ogni volta che un’azienda (che abbia cessato il servizio di appalto in favore di altra azienda subentrante) licenzi il proprio personale, anche se con l’obiettivo di farlo assumere appunto dall’impresa nuova appaltatrice, lo stesso ex datore di lavoro/ex appaltatore deve corrispondere ai propri lavoratori licenziati l’indennità sostitutiva del preavviso anche in caso di contestuale riassunzione da parte della nuova appaltatrice successiva al licenziamento, e dunque anche se non vi è stata concreta disoccupazione e non vi è stato un concreto danno in tal senso, dal momento che tale indennità non è legata ad effettivi pregiudizi di perdita di reddito, ma è dovuta per il solo fatto che il datore di lavoro risolva il rapporto di lavoro per perdita dell’appalto.
Dall’altro lato, si è riusciti a far consolidare il principio per cui, tra l’altro, ben può chiedersi il decreto ingiuntivo per il mancato pagamento di un importo retributivo anche se lo stesso non risulta da busta paga, ma dalle tabelle retributive del contratto collettivo, ovvero sia ricavabile da una semplice operazione algebrica/aritmetica per calcolarlo.
L’affermazione di questi due principi è di importanza notevole per la tutela dei lavoratori interessati a simili faccende e che sempre di più vanno incontro a comportamenti del datore di lavoro che tendono ad eludere diritti retributivi tuttavia inderogabili: se, infatti, in tal modo nessun datore di lavoro può tentare di risparmiare sul dovuto costo della risoluzione del rapporto, dovendo sempre riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso ogni volta che voglia o debba licenziare le proprie maestranze per i motivi sopra richiamati, ogni lavoratore potrà comunque chiedere l’ingiunzione di pagamento di retribuzioni dovute, attraverso il ricorso alle tabelle contrattuali, anche nelle ipotesi in cui il datore di lavoro volutamente non consegni le buste paga ai propri dipendenti.
Tribunale di Milano 3.02.2021.pdf
Ai pizzaioli a tempo pieno, sotto-inquadrati al 6° livello, uno come fattorino e l'altro come operaio e pagati solo come lavoratori part-time, abbiamo fatto ottenere il giusto inquadramento (4° livello) e le relative differenze retributive per tutte l'orario di lavoro full-time svolto.
Alla dipendente pubblica della Questura, sotto-inquadrata come assistente amministrativo-contabile abbiamo fatto ottenere tutte le differenze retributive che ha maturato in conseguenza dello svolgimento delle superiori mansioni di Direttore Amministrativo Contabile, Area Terza, fascia retributiva F4 Ccnl Comparto Ministeri.
Ad una educatrice che ha subito delle illegittime trattenute sullo stipendio (mediante l’istituto della Banca Ore) anche per effetto di un errato inquadramento contrattuale abbiamo fatto ottenere il diritto a ricevere il pagamento da parte del datore di lavoro di tutte le differenze retributive maturate e non percepite.
In particolare, il Giudice ha osservato che:<< Nel caso di specie, dunque, la ricorrente, si è legittimamente rifiutata di sottoscrivere l’accordo sindacale e la conseguente rinuncia a parte della retribuzione e, dunque, non per questo motivo, avrebbe dovuto subire l’azzeramento dell’orario lavorativo.
Ed, infatti, a fronte di una mansione che restava la stessa (quella di educatrice) e di un posto di lavoro che pure resta invariato, non poteva la cooperativa, per una mera questione economica di suo risparmio (in termini di retribuzione erogata), chiedere alla lavoratrice, dapprima di svolgere solo il 40% dell’orario di lavoro in qualità di educatrice e, poi, azzerarle addirittura l’orario di lavoro, per dare ad un altro soggetto il suo posto di lavoro (…)
Alcuna unilaterale modificazione dell’orario di lavoro e della retribuzione è, infatti, ammessa dall’ordinamento giuridico, rimanendo intangibile l’obbligazione assunta dal datore di lavoro, con la stipula del contratto di lavoro, di far lavorare il dipendente per le ore da contratto e con la retribuzione commisurata al livello professionale raggiunto>>.
Al dipendente che si era visto negare per prescrizione la domanda di pagamento del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di Garanzia Inps, abbiamo fatto ottenere il riconoscimento del Giudice che il credito non si era affatto prescritto e che pertanto il Fondo era tenuto al pagamento richiestogli.
Il Giudice ha infatti accertato che <<contrariamente a quanto sostenuto da INPS, il credito vantato non è prescritto, dovendosi tenere conto al fine dell’interruzione del termine di prescrizione dei due pagamenti parziali (…) avvenuti quale “rata tfr” con la conseguente necessità di attribuire agli stessi valore di riconoscimento di debito>>; cosicché <<tenuto conto del pagamento del 12/07/2010, non è decorso il termine quinquennale di prescrizione rispetto al successivo atto interruttivo dell’11 giugno 2015.>>.
Ai lavoratori ai quali l’azienda aveva smesso illegittimamente di pagare dei premi aziendali individuali sostenendo che si trattasse di premi di natura collettiva previsti da un accordo disdettato dall’azienda, abbiamo fatto ottenere la conferma giudiziale della natura individuale del premio ed il diritto a vedersi corrispondere tutti i premi maturati.
Diritti d'autore © Studio Associato Pironti Laratro 2018
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