Diritti d'autore © Studio Associato Pironti Laratro 2018

Studio Legale Associato Pironti Laratro

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Le nostre sentenze in materia di 

risarcimento danni.

Con la sentenza in questione, resa all’esito di un giudizio di opposizione instaurato dall’ex datore di lavoro contro il decreto ingiuntivo che si era richiesto (ed era stato emesso) in favore del nostro assistito, il nostro Studio ha conseguito un’importante vittoria in giudizio per l’importanza dei principi che in accoglimento delle proprie tesi giuridiche sono stati espressi nella sentenza in questione, peraltro spendibili in tutti i casi di cambio di appalto come quello interessato alla relativa vicenda.

In particolare, da un lato si è riusciti a far passare il principio per cui ogni volta che un’azienda (che abbia cessato il servizio di appalto in favore di altra azienda subentrante) licenzi il proprio personale, anche se con l’obiettivo di farlo assumere appunto dall’impresa nuova appaltatrice, lo stesso ex datore di lavoro/ex appaltatore deve corrispondere ai propri lavoratori licenziati l’indennità sostitutiva del preavviso anche in caso di contestuale riassunzione da parte della nuova appaltatrice successiva al licenziamento, e dunque anche se non vi è stata concreta disoccupazione e non vi è stato un concreto danno in tal senso, dal momento  che tale indennità non è legata ad effettivi pregiudizi di perdita di reddito, ma è dovuta per il solo fatto che il datore di lavoro risolva il rapporto di lavoro per perdita dell’appalto.

Dall’altro lato, si è riusciti a far consolidare il principio per cui, tra l’altro, ben può chiedersi il decreto ingiuntivo per il mancato pagamento di un importo retributivo anche se lo stesso non risulta da busta paga, ma dalle tabelle retributive del contratto collettivo, ovvero sia ricavabile da una semplice operazione algebrica/aritmetica per calcolarlo.

L’affermazione di questi due principi è di importanza notevole per la tutela dei lavoratori interessati a simili faccende e che sempre di più vanno incontro a comportamenti del datore di lavoro che tendono ad eludere diritti retributivi tuttavia inderogabili: se, infatti, in tal modo nessun datore di lavoro può tentare di risparmiare sul dovuto costo della risoluzione del rapporto, dovendo sempre riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso ogni volta che voglia o debba licenziare le proprie maestranze per i motivi sopra richiamati, ogni lavoratore potrà comunque chiedere l’ingiunzione di pagamento di retribuzioni dovute, attraverso il ricorso alle tabelle contrattuali, anche nelle ipotesi in cui il datore di lavoro volutamente non consegni le buste paga ai propri dipendenti. Il provvedimento è stato confermato in sede di appello.

Sentenza n. 308_2021 Tribunale di Milano.pdf

Sentenza n. 932_2021 Corte Appello di Milano.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria per il principio di diritto fatto affermare in sentenza.

Si tratta, in particolare, di una vicenda in cui una lavoratrice nostra assistita, dopo avere vinto una precedente causa in cui aveva impugnato l’illegittimità di un licenziamento, aveva scelto (come consentito dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori) di non rientrare in servizio e di farsi pagare, al posto della reintegrazione nel posto di lavoro (a cui aveva così rinunciato), un importo pari a 15 mensilità.

Non avendo l’azienda provveduto al pagamento di tale somma, la nostra assistita si era vista costretta a chiedere al Giudice un’ingiunzione di pagamento, regolarmente concessale.

L’azienda aveva, a questo punto, fatto opposizione contro il decreto ingiuntivo chiedendo al Giudice di revocarlo.

Tuttavia, come sostenuto dallo Studio, tale opposizione era stata formulata senza che ne ricorressero i presupposti di legge (posto che l’ingiunzione emessa dal Giudice era priva di vizi e posto che non era nel frattempo intervenuto nessun fatto che fosse idoneo a paralizzare il dovuto pagamento), avendo invece fondato la sua richiesta deducendo una serie di ragioni di merito che attenevano, invece, ad un tipico giudizio di impugnazione della sentenza di accertamento dell’illegittimità del licenziamento come sopra pronunciata in favore della lavoratrice, piuttosto che su un’opposizione alla validità della stessa ingiunzione.

Ebbene, la sentenza ottenuta a tutela della nostra assistita, accogliendo le tesi argomentative dello Studio, ha rigettato la richiesta avversaria ed ha confermato la validità dell’ingiunzione di pagamento già emessa in favore di quest’ultima, la quale ha potuto così provvedere ad incassare la somma per ciò dovutale.

Sentenza n. 93_2021 Tribunale Monza.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto una nuova importante sentenza a tutela di un assistito che si era rivolto a noi dopo che per mesi e mesi, nonostante fosse stato assunto con contratto di lavoro part-time, l’azienda datrice di lavoro aveva continuato a cambiargli l’orario di lavoro.

Lo Studio ha impugnato l’illegittimo comportamento aziendale sul presupposto che esso si poneva in grave contrasto con la normativa prevista in materia di orario di lavoro parziale a tutela del lavoratore subordinato (in particolare: gli articoli da 4 a 12 del decreto legislativo n. 81 del 2015), secondo la quale quest’ultimo ha diritto ad avere un orario di lavoro fisso, predeterminato ed immodificabile nel presente e nel futuro – così da riuscire a sapere sempre ed in anticipo  quale sarà il tempo libero che avrà a disposizione per reperire, in tale lasso temporale, altro lavoro.

Il Giudice, in totale accoglimento tanto della richieste svolte in favore del nostro assistito, quanto delle tesi giuridiche su cui le stesse sono state fondate, ha accertato l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro e lo ha condannato a risarcire il danno subito dal nostro assistito in conseguenza dei continui cambiamenti di orario subiti.

sentenza n. 1302 del 15.09.2020.pdf

Ad un gruppo di lavoratori sospesi in cassa integrazione senza legittima rotazione al pari di altri colleghi di lavoro, abbiamo fatto ottenere il risarcimento del danno pari alle <<differenze tra quanto percepito mentre erano in Cassa e quanto avrebbero percepito a titolo di retribuzione piena se avessero prestato la loro ordinaria attività lavorativa>>.

I Giudici hanno infatti accertato che:<< La lettura degli accordi in oggetto evidenzia l’avvenuta violazione del disposto di cui all’art. 1 co. 7 L 223/91 stante l’assenza di specificazione in ordine ai criteri applicati per individuare i lavoratori da sospendere (…)

Ai sensi dell’art. 1 co. 8 L 233/91 infatti se l’impresa ritiene, per ragioni di ordine tecnico-organizzativo connesse al mantenimento dei livelli di normali di efficienza di non poter adottare il meccanismo della rotazione tra lavoratori che espletano le medesime mansioni e sono occupati nella stessa unità produttiva interessata dalle sospensioni, deve indicarne i motivi.>>.

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