Diritti d'autore © Studio Associato Pironti Laratro 2018

Studio Legale Associato Pironti Laratro

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Le nostre sentenze in materia di trasferimenti.

Il nostro Studio ha ottenuto una importante vittoria ancora una volta a tutela di una lavoratrice (operatrice sanitaria) che opera all’interno di una RSA.

In particolare, la nostra assistita era stata assunta con un contratto a termine e, durante l’esecuzione dello stesso, era stata trasferita ad un'altra struttura rispetto a quella in cui operava per effetto della cosiddetta clausola di non gradimento esercitata dalla Fondazione committente (in sostanza: quest’ultima ne aveva richiesto l’allontanamento al datore di lavoro che gestiva l’appalto presso la struttura di degenza in questione), e ciò per il solo fatto di avere denunciato penalmente la mancata adozione all’interno di tale struttura di tutte le misure di sicurezza anti-covid (così da mettere a rischio la sicurezza non solo delle operatrici sanitarie, ma anche del personale degente).

Il nostro Studio aveva agito in giudizio sia per ottenere l’assunzione a tempo indeterminato, lamentando l’illegittimità del ricorso al contratto a termine in virtù del fatto che nelle proroghe dell’originario contratto, pur sforando il periodo massimo di 12 mesi per ciò previsto, non era stata esplicitata la “causale” (e cioè l’esigenza di mantenere a termine la lavoratrice – invece che assumerla a tempo indeterminato), sia per ottenere l’annullamento del trasferimento e la riassegnazione (a causa vinta ed a rapporto di lavoro a tempo indeterminato accertato) presso la vecchia struttura, dal momento che lo stesso trasferimento era stato determinato esclusivamente da motivo di ritorsione e vendetta per l’esercizio di un diritto fatto valere dalla lavoratrice (quello dell’intervenuta denuncia penale).

Il Giudice del lavoro, in accoglimento delle nostre tesi, ha integralmente accolto il ricorso della lavoratrice, dichiarando l’assunzione a tempo indeterminato (al riguardo condannando l’azienda a pagare il massimo dell’indennizzo previsto dalla legislazione che vieta l’illegittimo contratto a termine), e dichiarando la ritorsività del trasferimento di cui ella era stata vittima, reintegrandola presso la vecchia ed originaria sede di lavoro.

Sentenza n. 1979_2021 Tribunale di Milano.pdf

Con la collaborazione del nostro Studio si sono ottenute due importanti sentenze a tutela di due gruppi di lavoratori i quali, già dipendenti di un’appaltatrice nell’ambito di un appalto di servizi gestiti da un’appaltante/società leader nel settore della movimentazione delle merci, dopo che quest’ultima aveva deciso di internalizzare le attività (e cioè di svolgerle direttamente, ovvero non più per il tramite di terzi appaltatori) non erano stati assunti da tale società.

Tuttavia, ed è ciò che è stato prospettato in entrambi i distinti giudizi al Tribunale del Lavoro, una simile operazione nascondeva il più classico dei trasferimenti tutelati dall’articolo 2112 del codice civile, dal momento che tanto il personale già operante presso l’appaltatrice che gestiva il servizio, quanto i mezzi di produzione dagli stessi utilizzati integravano un ramo di azienda ben definito e ben organizzato in vista della produzione del servizio in questione.

Gli effetti dell’applicazione di questa norma codicistica erano e sono tali da prevedere l’obbligatoria acquisizione/assunzione in carico all’appaltante (e di preciso: del soggetto che di fatto è subentrato nella titolarità gestionale del servizio stesso) di tutti i lavoratori che prima lavoravano alle dipendenze dell’appaltatore (e cioè del soggetto che tale ramo di azienda ha di fatto ceduto).

Ma, ciononostante, i nostri assistiti non erano stati assunti dalla società appaltante/subentrante, al contrario di molti loro colleghi.

Si è dunque convenuto in giudizio tale società, nei due distinti giudizi in questione, chiedendo al Tribunale del Lavoro - una volta accertata la sussistenza e l’acquisizione del ramo di azienda in cui erano impiegati i nostri assistiti da parte della società ex appaltante - di condannarla a reintegrarli in servizio.

Condanne che all’esito di tali giudizi, in accoglimento totale delle nostre tesi difensive, sono state pronunciate a favore dei lavoratori che erano stati estromessi dai ranghi aziendali e che ora hanno invece la possibilità di riprendersi il loro lavoro.

Tribunale di Milano 24.02.2021_Palmisani.pdf

Tribunale di Milano 15.04.2021_Stefanizzi.pdf

Nel giudizio conclusosi positivamente con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione qui pubblicata assistevamo un folto gruppo di lavoratori i quali, già dipendenti da un’azienda leader nel settore delle telecomunicazioni, erano stati ceduti ad un’altra azienda di servizi nell’ambito di un asserito trasferimento di un ramo di azienda che tali società avevano tra di loro identificato.

Da subito il nostro studio si era reso conto che l’operazione di trasferimento che coinvolgeva i lavoratori nostri assistiti era illegittima, non esistendo, nel caso di specie, alcun ramo di azienda autonomo richiesto dalla legge nazionale (e precisamente dall’articolo 2112 del codice civile) e dalla legge comunitaria (la direttiva n. 50 del 1998) per poter trasferire, con esso, anche i rapporti dei lavoratori che operino all’interno dello stesso.

Ebbene, nonostante sia in primo che in secondo grado il ricorso dei nostri assistiti sia stato rigettato, giustizia è stata fatta in terzo grado e ad opera della Corte di Cassazione, la quale, aderendo alla nostra prospettazione ed accogliendo le tesi del nostro ricorso (che in buona sostanza altro non conteneva se non quelle stesse argomentazioni e tesi giuridiche già prospettate nei precedenti gradi di giudizio), accertava la violazione da parte dell’azienda ex datrice di lavoro delle disposizioni delle normative sopra richiamate (confermando che alcun ramo di azienda sussisteva nell’operazione effettuata nel caso di specie) ed annullava il trasferimento dei nostri assistiti presso l’azienda di servizi.

La vicenda qui trattata non solo è di particolare importanza perché trattata e definita da una delle sentenze della Suprema Corte che per prime si sono poste in quel solco giurisprudenziale che ha completamente tacciato di illegittimità operazioni come quella posta in essere nel caso di specie, ma anche e soprattutto perché costituisce una grande lezione per chiunque si appresti a far valere in giudizio un proprio diritto: la lezione per cui non è mai detta l’ultima parola, e che se si ha ragione, la ragione prima o poi può sempre essere premiata ed accertata.

Insomma, per dirla come il vecchio maestro/allenatore di calcio Vujadin Boskov “partita finisce quando arbitro fischia”.

Cassazione 19.01.2017 n. 1316.pdf

Al dipendente trasferito da Torino ad altra sede di lavoro (Orbassano) distante circa 30 km per “inderogabili esigenze tecnico-organizzative” abbiamo fatto ottenere la dichiarazione di illegittimità del trasferimento, la reintegra nella sede di lavoro di Torino e la condanna del datore di lavoro a pagargli le spese legali.

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