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Studio Legale Associato Pironti Laratro

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Le nostre sentenze in materia di 

contratti illegittimi.

Il nostro Studio ha ottenuto un’ulteriore importante vittoria nei confronti di una importante cooperativa sociale operante nel settore dell’assistenza socio sanitaria ed assistenziale.

Nello specifico, il lavoratore da noi assistito è stato assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato part-time, senza che però venisse rispettato l’obbligo previsto dalla normativa che impone al datore di lavoro di indicare nella lettera di assunzione la turnazione in modo fisso, predeterminato ed immutato nel tempo, così da consentire al lavoratore ricorrente la possibilità di trovare un’altra occupazione nel tempo libero per integrare il reddito e gestire al meglio le esigenze di vita e familiari.

Per tale ragione, con integrale accoglimento delle proprie tesi difensive, lo Studio ha ottenuto dal Giudice del lavoro sia la determinazione dell’orario fisso e predeterminato per tutto il tempo a venire (ripristinando la piena legalità al riguardo), sia la condanna al pagamento – in favore di quest’ultimo – del risarcimento del danno previsto dalla legge in siffatte ipotesi di violazione della normativa sul part-time.

Tribunale di Milano n. 4214.2023.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto un’ulteriore importante vittoria nei confronti di una importante cooperativa sociale operante nel settore dell’assistenza socio sanitaria ed assistenziale.

Nello specifico, il lavoratore da noi assistito è stato assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato part-time, senza che però venisse rispettato l’obbligo previsto dalla normativa che impone al datore di lavoro di indicare nella lettera di assunzione la turnazione in modo fisso, predeterminato ed immutato nel tempo, così da consentire al lavoratore ricorrente la possibilità di trovare un’altra occupazione nel tempo libero per integrare il reddito e gestire al meglio le esigenze di vita e familiari.

Per tale ragione, con integrale accoglimento delle proprie tesi difensive, lo Studio ha ottenuto dal Giudice del lavoro sia la determinazione dell’orario fisso e predeterminato per tutto il tempo a venire (ripristinando la piena legalità al riguardo), sia la condanna al pagamento – in favore di quest’ultimo – del risarcimento del danno previsto dalla legge in siffatte ipotesi di violazione della normativa sul part-time.

Tribunale di Milano n. 4214.2023.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto due importanti vittorie, contro un’azienda leader nel settore di produzione di riferimento, per due lavoratrici adibite all’esecuzione delle attività di cura e gestione degli ospiti di R.S.A.

In particolare, le lavoratrici da noi assistite erano state assunte con orario di lavoro part-time senza il rispetto della normativa che prevede l’obbligo per il datore di lavoro di indicare nella lettera di assunzione la turnazione in modo fisso, predeterminato ed immutato nel tempo; anzi, le lavoratrici erano state assoggettate a continui cambi di turno, non potendo così liberamente disporre del proprio tempo-vita.

Per tali ragione, con integrale accoglimento delle proprie tesi difensive, lo Studio ha  ottenuto dal Giudice del lavoro sia la determinazione dell’orario fisso sulla base delle esigenze famigliari e di vita delle lavoratrici, sia la condanna al pagamento, in favore di quest’ultimo, del risarcimento del danno previsto dalla legge in ogni ipotesi di simile violazione della legge sul part-time.

Sentenza Tribunale Milano n. 2309_21.pdf

Sentenza Tribunale Milano n. 2310_21.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria (in secondo grado e ribaltando la pronunzia negativa di primo grado)  contro un’azienda pubblica che aveva assunto una nostra assistita con ripetuti contratti di lavoro a termine in violazione della normativa che ne disciplina la materia.

In particolare, la vittoria è consistita nel fatto che, dimostrato ed accertato l’illegittimo continuativoricorso ai contratti di lavoro “precari” da parte del datore di lavoro, il Giudice del lavoro, non potendo convertire il rapporto di lavoro a tempo indeterminato in virtù del noto limite previsto dall’art. 97 della Costituzione (per cui un posto fisso nella pubblica amministrazione ce lo si può assicurare solo dopo la vittoria di apposito concorso),  ha disposto comunque che alla lavoratrice venisse corrisposto un indennizzo/risarcimento del danno conseguente alle violazioni di legge in cui era incorso il datore di lavoro pubblico.

Sentenza C.A. Milano 1071_22.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto due importanti vittorie, contro un’azienda leader nel settore di produzione di riferimento, per due assistiti a cui ha fatto ottenere un posto di lavoro a tempo indeterminato.

In particolare, i due lavoratori erano stati assunti con contratti di lavoro a termine e lo Studio aveva impugnato tali contratti, chiedendo al Giudice del lavoro la loro conversione a tempo indeterminato, per una questione quanto mai (purtroppo) attuale, attinente alla sicurezza sul luogo di lavoro, non sempre rispettata dalle imprese.

I contratti a termine, infatti, erano stati impugnati e contestati, come illegittimi, perché stipulati in violazione della normativa che impone che simili contratti possano essere sottoscritti esclusivamente in presenza  di un documento da cui risulti che il datore di lavoro abbia preventivamente effettuato la dovuta valutazione dei rischi per l’incolumità psico-fisica che presenta il luogo di lavoro a cui verrà assegnato il lavoratore.

In giudizio è stato accertato che tale documento non era stato validamente e correttamente redatto dal datore di lavoro, ragione per cui il Giudice ha dichiarato la nullità dei contrati a termine ed ha accertato la sussistenza tra i due lavoratori e l’azienda di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’origine, condannando la stessa azienda sia a reimmettere in servizio i lavoratori nel frattempo lasciati a casa dopo la scadenza degli illegittimi contratti a termine, sia a corrispondere loro l’indennità risarcitoria prevista dalla legge in materia di contratti a terminedichiarati nulli.

Non solo: in una delle due cause, dal momento che il lavoratore interessato era stato assunto con orario di lavoro part-time senza il rispetto della normativa che prevede l’obbligo per il datore di lavoro di indicare nella lettera di assunzione la turnazione in modo fisso, predeterminato ed immutato nel tempo (anzi, il lavoratore era assoggettato a continui cambi di turno, non potendo così liberamente disporre del proprio tempo-vita), lo Studio ha sia ottenuto dal Giudice del lavoro la determinazione dell’orario fisso sulla base delle esigenze famigliari e di vita del lavoratore, sia la condanna al pagamento, in favore di quest’ultimo, del risarcimento del danno previsto dalla legge in ogni ipotesi di simile violazione della legge sul part-time.

Tribunale di Milano Sentenza n. 2992_2023.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto ancora una volta altre quattro importanti vittorie (contro quattro diverse aziende che erano incorse nelle medesime violazioni di legge) per quattro lavoratori a cui ha fatto ottenere un posto di lavoro a tempo indeterminato.

In particolare, i nostri assistiti erano stati assunti con un contratto di lavoro a termine e lo Studio lo aveva impugnato, chiedendo al Giudice del lavoro la loro conversione a tempo indeterminato, per una questione quanto mai (purtroppo) attuale, attinente alla sicurezza sul luogo di lavoro, non sempre rispettata dalle imprese.

I contratti a termine, infatti, erano stati impugnati e contestati, come illegittimi, perché stipulati in violazione della normativa che impone che simili contratti possano essere sottoscritti esclusivamente in presenza  di un documento da cui risulti che il datore di lavoro abbia preventivamente effettuato la dovuta valutazione dei rischi per l’incolumità psico-fisica che presenta il luogo di lavoro a cui verrà assegnato il lavoratore.

In giudizio (con consolidamento del principio per cui è il datore di lavoro che deve comprovare la redazione di un valido documento al riguardo) non è stato provato che tali documenti fossero stativalidamente e correttamente redatti dal datore di lavoro, ragione per cui il Giudice ha dichiarato la nullità del contratto a termine ed ha accertato la sussistenza tra i lavoratori ed i loro datori di lavoro di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’origine, condannando la stessa azienda sia a reimmettere in servizio i lavoratori nel frattempo lasciati a casa dopo la scadenza dell’illegittimocontratto a termine, sia a corrispondere loro l’indennità risarcitoria prevista dalla legge in materia di contratto a termine dichiarato nullo.

Tribunale di Milano Sentenza n. 718_2021.pdf

Tribunale di Milano Sentenza n. 1260_2022.pdf

Tribunale di Milano Sentenza n. 1279_2022.pdf

Tribunale di Milano Sentenza n. 2950_2022.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria ancora una volta per una lavoratrice addetta ad una R.S.A., riuscendo a ribaltare in secondo grado una sentenza che in primo grado non aveva accolto le domande della nostra assistita.

In particolare, la lavoratrice era stata assunta con contratto a tempo determinato per sostituire una sua collega all’epoca assente (nominalmente e specificamente indicata nella stessa lettera di assunzione).

Ebbene, in secondo grado, appunto riuscendo ad ottenere una pronuncia di integrale riforma della sentenza di primo grado (e riuscendo a far ottenere alla nostra assistita un posto di lavoro a tempo indeterminato), il nostro Studio ha fatto accertare nel processo - proprio in virtù del fatto che la lavoratrice assente aveva sempre lavorato in un piano diverso rispetto a quello di assegnazione della nostra assistita - che l’azienda non aveva dimostrato l’esistenza di un nesso di causa tra l’assunzione a termine in questione e l’assenza specifica della risorsa da sostituirsi, posto che non si era dimostrato, nell’ambito del presunto scorrimento genericamente dedotto dal datore di lavoro, come quest’ultimo si era in concreto declinato, quali risorse aveva interessato e, dunque, se vi fosse o meno un rapporto di causa concreto tra la prestazione della nostra assistita e quella della collega assente.

Il risultato è quello per cui l’adita Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha accertato la nullità del contratto a termine convertendolo a tempo indeterminato, condannando l’azienda anche a risarcire alla nostra assistita il danno previsto dalla legge per le illegittime assunzioni a tempo determinato.

Corte d'Appello di Milano Sentenza n. 587_2022.pdf

Abbiamo ottenuto - contro una delle multinazionali che gestiscono l’attività di consegna al domicilio del cibo - un’importante vittoria a tutela di un lavoratore rider, settore in cui il nostro Studio è diventato un importante punto riferimento nel territorio milanese viste le decine e decine di casi di cui si è al riguardo occupato negli ultimi anni.

In particolare, il rider assistito nel caso di specie era stato dapprima assunto con “finti” contratti di lavoro autonomo, ed infine lasciato a casa con apposita comunicazione di recesso con cui l’azienda gli aveva riferito di non avere più bisogno di lui.

Ebbene, lo Studio - avvalendosi della normativa prevista dall’articolo 2 del decreto legislativo  81/2015, per cui deve applicarsi la disciplina della subordinazione (e cioè tutta la normativa prevista a tutela dei diritti dei dipendenti, tra cui anche quella relativa ai licenziamenti illegittimi) anche ai lavoratori non assunti come subordinati ma che di fatto operano in un contesto in cui l’attività è organizzata (per i tempi ed i luoghi di lavoro) dal datore di lavoro - ha contribuito a far accertare l’inquadramento del rapporto di lavoro del rider nell’ambito di tale articolo 2, a far annullare il licenziamento ed a fare, quindi, reintegrare in servizio il lavoratore, oltre che a fargli corrispondere le retribuzioni perse dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione in servizio.

Si consideri che la reintegrazione in servizio è stata disposta dal Giudice del lavoro con l’orario di lavoro full-time, con l’inquadramento livello previsto per le mansioni del rider nel contratto collettivo nazionale del commercio (quello di settore), con la retribuzione piena prevista da tale contratto per tale livello di professionalità (dunque comprensiva di tredicesima e quattordicesima) e con le tutele della subordinazione (ferie e permessi pagati, trattamento di fine rapporto maturato anno per anno, etc.): il rapporto di lavoro è stato dunque ricostituito dal Giudice come un vero e proprio lavoro subordinato ed il rider ha così ottenuto tutte le garanzie economiche, giuridiche e di sicurezza sul lavoro, anche “pro futuro”, che l’azienda gli aveva negato nel periodo precedente a quello della causa vinta.

A quanto consta, è la prima sentenza ad avere applicato al lavoratore il cui rapporto sia inquadrato nell’articolo 2 del suddetto decreto legislativo anche la disciplina prevista a favore dei subordinati  in materia di licenziamento.

Tribunale di Milano Sentenza n. 2864_2022.pdf

Ancora un’importante vittoria a favore di una socia lavoratrice (nostra assistita) dipendente di cooperativa ed assegnata a mansioni di cura e gestione degli ospiti presso una R.S.A.

La lavoratrice era stata licenziata per asseriti addebiti disciplinari consistenti nell’essere stata assente ingiustificata dal servizio in virtù del fatto che non si sarebbe presentata in servizio dopo una visita di accertamento di idoneità professionale fissata per valutare lo stato fisico della dipendente che era stata in precedenza ritenuta non idonea.

Ebbene, è stata accolta la tesi per cui, essendo stata in precedenza ritenuta inidonea senza previsione temporale (e cioè senza una data fino alla quale tale accertamento sarebbe valso), la semplice mancata presentazione a nuova visita di accertamento, così come la semplice mancata presentazione in servizio dopo la stessa non era idonea a configurare né un’assenza ingiustificata (essendo invece l’’assenza dal servizio giustificata, fino a nuova visita, proprio dal precedente accertamento di inidoneità), né tanto meno una giusta causa di licenziamento.

Pertanto, è stata accertata l’illegittimità non solo del licenziamento, ma anche della contestuale esclusione della nostra assistita dalla qualità di socio; conseguentemente,  la lavoratrice è stata reintegrata sia in servizio, sia nella compagine sociale, con condanna della cooperativa a saldarle tutte le retribuzioni perse dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione.

Si badi bene, infatti, che la vittoria è importante altresì sotto il profilo processuale, poiché lo studio è riuscito non solo a far dichiarare la competenza del Giudice del lavoro a conoscere della causa in questione, ma anche a far applicare, a tutela contro l’illegittimo licenziamento, le previsioni normative giuslavoristiche (segnatamente: l’art. 3, comma 2, del decreto legislativo m. 23/2015) che prevedono al reintegrazione in servizio pur essendosi in presenza di una dipendente di cooperativa che era stata (non solo licenziata, ma anche) esclusa dalla compagine sociale.

Tribunale di Milano Sentenza n. 1271_2023.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto un’importantissima vittoria in una materia delicatissima e quanto mai attuale, quella relativa al ricorso, da parte delle imprese utilizzatrici, di contratti di lavoro “precari” che intestano formalmente a terzi soggetti il rapporto dei lavoratori che vengono tuttavia direttamente organizzati e gestiti dallo stesso utlizzatore, così garantendosi - contro le più elementari norme del nostro ordinamento - la maggiore flessibilità possibile nella gestione della forza lavoro.

In particolare, il nostro Studio difendeva un gruppo di lavoratori che era stato assunto da un’impresa leader nel settore delle telecomunicazioni dapprima con contratto di lavoro a termine per la durata di 12 mesi (e cioè per quel periodo per cui la legge all’epoca prevedeva la liberalizzazione delle assunzioni a tempo determinato) e poi, guarda caso alla scadenza di tali 12 mesi, con contratto di somministrazione per il tramite di apposita Agenzia, per poi, dopo ulteriori 12 mesi, non chiamare più al lavoro i lavoratori in questione (che erano per ciò stati collocati in cassa integrazione dall’agenzia di lavoro interinale che li aveva per ciò assunti e prestati all’utilizzatore).

Il nostro Studio ha, pertanto, impugnato il complessivo comportamento tenuto dall’impresa utilizzatrice (oltre che i contratti da questa usati per godere della prestazione dei lavoratori interessati) perché in chiara frode alla legge e, in particolare, di quella normativa comunitaria e nazionale che impone l’assunzione a tempo indeterminato laddove la stessa assunzione abbia ad oggetto un’attività di carattere stabile e permanente, e non temporaneo.

Era, infatti, chiaro sin dal principio l’obiettivo dell’impresa utilizzatrice: adibire ad attività di carattere stabile gruppi di lavoratori che non si volevano assumere a tempo indeterminato, e dunque prima assumendoli direttamente con contratto a termine per 12 mesi (e cioè per il periodo in cui per legge non bisognava specificare le ragioni dell’assunzione a termine, che non c’erano) per poi, quando un eventuale rinnovo di contratto a termine avrebbe determinato l’obbligo di specificare tali ragioni (appunto: che non c’erano), facendoli assumere con somministrazione a tempo indeterminato da una terza agenzia sfruttando la possibilità di poterli continuare ad usare per attività stabili senza continuare a motivare il perché di un’assunzione a termine che sarebbe apparsa illegittima.

Ebbene, la tesi è stata integralmente accolta dal Giudice del lavoro, il quale ha dichiarato per tali ragioni nulli i contratti di natura precaria a cui era ricorsa l’impresa utilizzatrice al fine di potere usufruire di manodopera senza assumersene i rischi, avendo così da un lato costituito i rapporti di lavoro dei nostri assistiti in capo a tale impresa e dall’altro lato condannato quest’ultima a reintegrare i lavoratori in servizio pagando loro le retribuzioni perse dalla data di estromissione dal servizio fino a quella di riammissione in azienda.

Tribunale di Milano Sentenza n. 882_2023.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto un’importantissima vittoria all’esito di un’estenuante percorso processuale che nell’arco di dieci anni (e con ben sette giudizi) ci ha visti vincere per ben due volte in Cassazione prima di vedere accogliere le domande, le pretese e le doglianze dei nostri assistiti dalla Corte d’Appello di Milano all’esito del secondo giudizio di rinvio.

In particolare, si assistevano due lavoratori che erano stati assunti con contratti di lavoro di apprendistato ed all’esito degli stessi non erano stati confermati in servizio e quindi licenziati.

Lo Studio, sin dall’inizio, aveva (tra le altre ragioni)n impugnato i contratti di apprendistato ritenendoli illegittimi dal momento che, contrariamente al chiaro disposto dell’articolo 49 del decreto legislativo n. 276/2003, erano stati firmati prima i contratti di lavoro e cinque giorni dopo i progetti formativi, ciò determinando: i) che non vi era stata simultanea sottoscrizione dei documenti in questione (lo si ribadisce: i contratti di lavoro ed i progetti formativi); ii) che i progetti formativi,invece di essere contenuti all’interno dei contratti di lavoro, erano contenuti in documenti esterni agli stessi.

I vari Giudici di merito che si erano interessati della vicenda non avevano colto l’importanza di tale doglianza, la quale, lungi dall’integrare un una mera petizione di principio formalistico, in realtà era direzionata a garantire la tutela per ciò prevista tanto dal tenore letterale della normativa in esame, quanto dallo spirito che la contraddistingueva (riferito all’obiettivo di evitare facili aggiramentidell’obbligo di assumere con ordinari contratti di lavoro subordinati).

Ebbene, dopo anni ed anni di battaglia giudiziaria, la causa è stata vinta da ultimo davanti alla Suprema Corte, la quale, come al solito attentissima a valutare la violazione delle norme di diritto al di là di facili e scontati approcci sostanzialistici, ha colto l’importanza della doglianza al riguardo esposte dallo Studio accogliendone le argomentazioni ed enunciando il principio di diritto - cui poi la Corte d’Appello (alla quale è stata rinviata la causa per la decisione di merito finale) ha dovuto uniformarsi - che ha di fatto riprodotto la nostra tesi.

Ed il principio, appunto, è quello per cui in tema di contratti di apprendistato (ai fini della loro validità): i) deve esserci simultanea sottoscrizione dei contratti di lavoro e dei progetti formativi; ii) dal momento che il progetto formativo deve essere contenuto ed indicato all’interno del contratto di lavoro.

I contratti di apprendistato sono stati, quindi, ritenuti illegittimi, i rapporti di lavoro sono stati dichiarati come ordinari rapporti di lavoro subordinati sin dal principio e sono stati pertanto ritenuti illegittimi i licenziamenti in esame; il datore di lavoro di lavoro è stato così condannato alla reintegrazione in servizio dei ricorrenti ed al pagamento delle retribuzioni perse dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione in servizio.

Partita finisce quanto arbitro fischia, diceva il mitico Vujadin Boskov; mai arrendersi fino alla fine, diciamo noi.

Corte D'Appello di Milano Sentenza n. 881_2023.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto un’importante vittoria a tutela di una lavoratrice addetta a mansioni di estetista ed acconciatrice, la quale, inizialmente assunta con contratto di lavoro a tempo determinato, ha ottenuto una sentenza con cui il Giudice del lavoro, avendo accertato la violazione da parte del datore di lavoro della normativa che impone l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi nel negozio di assegnazione, ha dichiarato la sua assunzione a tempo indeterminato e la condanna in suo favore del risarcimento del danno previsto dalla legge, oltre a riconoscerle il pagamento degli stipendi arretrati che aveva maturato n costanza di rapporto.

E’ un’altra vittoria importante nel settore normativo in questione, perché ancora una volta si è riusciti ad ottenere l’assunzione a tempo indeterminato in conseguenza di un errore che purtroppo i datori di lavoro commettono in molti casi - non attribuendo alla sicurezza sul lavoro la dovuta attenzione.

Sentenza n. 321_2021 Tribunale di Monza.pdf

Altra vittoria ottenuta dal nostro Studio per i lavoratori che operano all’interno delle R.S.A..

La vittoria duplice perché da un lato si è ottenuto in favore della nostra assistita l’annullamento del contratto di lavoro a termine e l’assunzione a tempo indeterminato, e dall’altro lato si è ottenuta la condanna al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge a tutela della lavoratrice assunta con orario di lavoro parziale nel cui contratto non sia stata tuttavia stabilita la specifica indicazione dei turni di lavoro fissi e predeterminati a cui ella sarebbe stata assegnata durante il rapporto di lavoro.

Non solo, dunque, con la sentenza in questione si è garantito alla lavoratrice il posto fisso, ma si è anche garantito alla stessa un’equa compensazione per la continua modificazione dei turni di lavoro di cui la lavoratrice è stata vittima, pur avendo diritto (come si è fatto accertare) ad un orario di lavoro part-time con turni fissi e da rispettarsi nel tempo.

Sentenza n 1146_2021 dott.ssa Moglia.pdf

Con le sentenze in questione, il nostro Studio ha conseguito un’importante vittoria in giudizio a tutela di un lavoratore di call-center, che costituisce un importantissimo precedente per le centinaia di lavoratori che si trovano nella condizione di illegittima gestione del proprio rapporto di lavoro da parte delle aziende che operano nel settore.

Il lavoratore in questione, infatti, seppure assunto con contratto di lavoro part-time non solo si era visto continuamente e settimanalmente modificare l’orario di lavoro dall’azienda, così di fatto rimanendo alla mercè del datore di lavoro senza alcuna possibilità di organizzare il proprio tempo libero anche al fine di reperire un’ulteriore occupazione e fonte di reddito (al contrario di quanto stabilisce proprio l’attuale normativa sul part-time a tutela di chi viene assunto in tal modo), ma era stato anche sotto inquadrato rispetto alle effettive mansioni svolte.

Sul punto, infatti, se da un lato il nostro assistito era stato assunto da addetto al call-center e con inquadramento nel terzo livello del contratto collettivo delle Telecomunicazioni, dall’altro lato aveva disimpegnato mansioni superiori, aventi ad oggetto non mere informazioni da dare al cliente che lo contattava, ma la personale e diretta risoluzione di problematiche gestionali che comportavano l’esercizio di proprie valutazioni e di proprie competenze idonee a pervenire all’obiettivo che l’intervento richiedeva.

Mansioni, queste, che il contratto collettivo fa rientrare nel superiore quarto livello e nella superiore qualifica di operatore di call-center.

Nel ricorso si erano, quindi, richieste, a tutela del nostro assistito e per rendere giustizia al caso concreto ed all’illegittimo comportamento del datore di lavoro, sia l’inquadramento nel superiore livello, sia la condanna al pagamento delle differenze retributive dovute per effetto di tale superiore inquadramento, sia la condanna al risarcimento del danno relativo alla continua illegittima modifica dell’orario di lavoro part-time, sia, ancora, che il Giudice determinasse la puntuale collocazione dell’orario di lavoro anche per il futuro.

Il ricorso è stato integralmente accolto, ed il lavoratore si è visto non solo riconoscere il superiore inquadramento e gli indennizzi dovuti per quanto in esame, ma si è visto anche determinare, da parte del Giudice, l’orario di lavoro che egli aveva richiesto e che ora l’azienda sarà inderogabilmente costretta a rispettare anche per il futuro.

Sentenza n. 180_2021 del 28.01.2021.pdf

Sentenza n. 394_2021 dell'11.02.2021.pdf

Sentenza n. 403_2021 dell'11.02.2021.pdf

Sentenza n. 539_2021 del 25.02.2021.pdf

Sentenza n. 612_2021 del 04.03.2021.pdf

Sentenza n. 1339_2021 dell'11.02.2021.pdf

Sentenza n. 2193_2021 del 21.09.2021.pdf

Sentenza n. 2172_2021 del 17.09.2021.pdf

Con la sentenza in questione, il nostro Studio ha conseguito un’importante vittoria in giudizio nell’importante materia degli illegittimi contratti di lavoro a termine, che sin dall’entrata in vigore della riforma del 2014 sono tornati ad essere utilizzati dal datore di lavoro allo scopo di pre-costituirsi la tanto agognata flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro, scaricando integralmente sui lavoratori ogni forma di rischio di impresa che invece il nostro ordinamento vuole in carico alle imprese che hanno bisogno di manodopera.

In particolare, la vittoria è importante perché in giudizio è stata accolta la nostra tesi per cui anche a distanza di tempo è qualificabile come rinnovo contrattuale anche quel contratto che è stipulato ex novo tra le stesse parti laddove abbia ad oggetto stesse mansioni e stesso inquadramento del precedente; cosa da cui deriva ad oggi l’applicabilità del cosiddetto “Decreto Dignità” nella parte in cui obbliga il datore di lavoro a specificare, appunto nel rinnovo contrattuale, la motivazione dell’assunzione a tempo determinato piuttosto che a tempo indeterminato, con la conseguenza che in mancanza il lavoratore/la lavoratrice interessato/a possono richiedere al Giudice l’assunzione a tempo indeterminato.

Ciò che è stato appunto da noi richiesto nel giudizio instaurato a tutela del nostro assistito e che è stato accolto integralmente dal Giudice.

Sentenza n. 2339 del 4.01.2021.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto una nuova importante sentenza a tutela di un assistito che si era rivolto a noi dopo che per mesi e mesi, nonostante fosse stato assunto con contratto di lavoro part-time, l’azienda datrice di lavoro aveva continuato a cambiargli l’orario di lavoro.

Lo Studio ha impugnato l’illegittimo comportamento aziendale sul presupposto che esso si poneva in grave contrasto con la normativa prevista in materia di orario di lavoro parziale a tutela del lavoratore subordinato (in particolare: gli articoli da 4 a 12 del decreto legislativo n. 81 del 2015), secondo la quale quest’ultimo ha diritto ad avere un orario di lavoro fisso, predeterminato ed immodificabile nel presente e nel futuro – così da riuscire a sapere sempre ed in anticipo  quale sarà il tempo libero che avrà a disposizione per reperire, in tale lasso temporale, altro lavoro.

Il Giudice, in totale accoglimento tanto della richieste svolte in favore del nostro assistito, quanto delle tesi giuridiche su cui le stesse sono state fondate, ha accertato l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro e lo ha condannato a risarcire il danno subito dal nostro assistito in conseguenza dei continui cambiamenti di orario subiti.

sentenza n. 1302 del 15.09.2020.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto importanti sentenze a tutela di lavoratori che si erano rivolti a noi dopo che erano stati lasciati a casa dal proprio datore di lavoro alla scadenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato. Nello specifico abbiamo ottenuto dal Giudice sia la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro a termine, sia l’immediata reintegrazione in servizio del lavoratore.

Il contratto a termine impugnato era stato giustificato dall’impresa in relazione ad un’esigenza sostitutiva.

Le nostre censure si sono concentrate principalmente sull’assenza del documento di valutazione dei rischi, nonché sull’insussistenza dell’esigenza sostitutiva dedotta dal datore di lavoro nel contratto.

Il Giudice, in totale accoglimento tanto della richieste svolte , quanto delle tesi giuridiche su cui le stesse sono state fondate, ha accertato la nullità dei contratti a termine in virtù della ricorrenza di entrambi i suindicati motivi di impugnazione e, come accennato, una volta dichiarata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ha ordinato all’azienda di reintegrare immediatamente in servizio i lavoratori.

sentenza n. 1221 del 31.08.2020.pdf

Tribunale di Milano 19.01.2021.pdf

Il nostro Studio ha ottenuto una importantissima vittoria nel campo dei contratti a termine sia per il contenuto della sentenza (che di fatto accoglie le innovative tesi argomentative da noi sviluppate a riguardo), sia per la materia affrontata (che riguarda la categoria dei precari mantenuti in servizio con plurimi contratti a termine infine non rinnovati, con la conseguente espulsione dal ciclo produttivo della lavoratrice/lavoratore interessata/o), sia perché tale sentenza interviene nell’applicazione di una normativa assolutamente nuova, e cioè quella che nel Job’s Act (da ultimo riformato dal c.d. Decreto Dignità) disciplina la fattispecie del cumulo dei contratti a termine (prima con assunzione diretta e poi con assunzione per il tramite di Agenzia di somministrazione).

In particolare, per quanto interessa, la lavoratrice era stata assunta e poi mantenuta in servizio dapprima con un contratto a termine diretto, ed in seguito con più contratti di lavoro a termine in somministrazione, il tutto però a superamento dei 36 mesi quale originario limite massimo di utilizzo di tali contratti a termine.

Lo Studio aveva, pertanto, sottoposto al Giudice del Lavoro, tra le altre, la tesi argomentativa per cui da un lato la disciplina del Job’s Act avesse sostanzialmente lasciato integra ed intatta quella del decreto legislativo (n. 368/01) che l’aveva preceduto a regolamentazione della questione del superamento dei 36 mesi (e che pertanto tutti i contratti stipulati sotto la vigenza dell’una e poi dell’altra normativa andassero per ciò cumulati nel calcolo in questione), e per cui dall’altro lato per concretizzare il superamento di tale tetto massimo ben potevano e dovevano sommarsi sia i mesi di lavoro eseguiti con contratto a termine direttamente intercorso con il datore di lavoro, sia i mesi di lavoro eseguiti sotto contratto a termine intervenuto con l’Agenzia di somministrazione.

Il Tribunale del Lavoro di Milano ha accolto tale approccio interpretativo e, valutato nel caso concreto il superamento dei 36 mesi (per il tramite di entrambi i tipi di contratto a termine in questione), ha convertito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannando l’azienda sia a reintegrare in servizio la lavoratrice, sia a pagarle l’indennità risarcitoria prevista dallo stesso Job’s Act.

Sentenza n. 309 del 3.03.2020.pdf

Abbiamo impugnato un contratto a termine sostenendone l’illegittimità in ragione del fatto che il datore di lavoro non aveva effettuato la valutazione dei rischi redigendo l’apposito documento, che infatti non è stato prodotto in causa. Il Giudice ha quindi stabilito che il contratto doveva ritenersi a tempo indeterminato fin dall’inizio, e condannato il datore di lavoro a riammettere il lavoratore in servizio, a corrispondere al lavoratore un’indennità pari a cinque mensilità nonchè le spese legali.

29. trib. milano 10.10.2019.pdf

Abbiamo assistito due dj speaker radiofonici, che avevano lavorato ininterrottamente per dieci anni per una nota mittente/radio leader in Italia per ascolti, alternandosi nella conduzione di vari programmi di volta in volta assegnatigli.

I dj erano stati inquadrati con una serie di contratti di lavoro autonomo che si erano succeduti senza alcuna interruzione nella regolamentazione del rapporto fino a quando la società che gestisce la radio non li aveva lasciati a casa con comunicazione di recesso dall’oggi al domani.

I dj si sono quindi rivolti al nostro Studio e – una volta falliti i tentativi di composizione bonaria – abbiamo proposto il ricorso al giudice del lavoro perché lo stesso accertasse che, in ragione delle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, era in realtà intervenuto un rapporto di lavoro subordinato.

Ciò perché, in particolare, al di là dello pseudo-fattore artistico dell’attività di conduzione richiestagli, la stessa si era sempre in concreto svolta sulla base di:

- un rigido inserimento organico nel ciclo produttivo dell’azienda;

- prevalenza degli interventi etero determinati dall’emittente (per tipo e contenuto dell’intervento);

- tempi e durata di intervento rigidamente regolamentati dal “clock” della radio stessa

- scaletta del programma predefinita dall’emittente radio;

- controllo da parte dell’emittente radio sui contenuti e sui tempi degli interventi del dj, tramite appositi sistemi digitali di produzione: in particolare, il computer con gli schermi su cui venivano fatti scorrere i contenuti dell’intervento che il dj doveva leggere (c.d. “gobbo”) e la strumentazione che segnalava quando il dj dovesse intervenire e quanto tempo avesse per l’intervento (c.d. “clock”).

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All’esito del primo grado di giudizio, la causa è stata vinta e al dj, che era stato inquadrato come lavoratore autonomo, abbiamo fatto ottenere l’accertamento della natura subordinata del suo rapporto di lavoro e la reintegra nel posto di lavoro con diritto al risarcimento del danno nonché il pagamento delle spese legali.

Nell'altro caso è stato necessario proporre opposizione all'ordinanza che ha definito la prima fase del rito Fornero: all'esito di questo, con sentenza, hanno trovato accoglimento tutte le nostre pretese.

Questa vittoria è innanzitutto una vittoria contro chi, al solo scopo di cercare di abbattere definitivamente ogni residua tutela spettante a questo tipo di rapporto, cerca da anni di raccontare che le nuove tecnologie imporrebbero un superamento dei vecchi e classici schemi di inquadramento dei rapporti di lavoro.

E’, infatti, una vittoria che vale doppio perché sbugiarda la comunicazione narrativa con cui le imprese, sulla base dell’adagio e dell’assioma per cui i nuovi strumenti di lavoro (digitali e/o tecnologici) imporrebbero nuovi tipi di rapporto da regolamentarsi con nuovi schemi giuridici, e non più con quelli regolanti il modello di produzione fordista, hanno con ciò cercato di giungere all’abbattimento della “subordinazione” intesa come ultimo e residuo spazio di minima tutela i lavoratori.

Ed invece, così come le classiche categorie di pensiero politico (destra e sinistra) sono ancora oggi più che valenti ad identificare i contenuti di pratica politica che ogni forma di governo declina quotidianamente, così anche gli schemi storicamente e classicamente usati per capire se un lavoratore poteva considerarsi subordinato od autonomo (assenza di rischio di impresa, percepimento di retribuzione fissa e predeterminata, orario di lavoro pre-determinato dalle esigenze di produzione aziendali) sono ancora oggi più che in grado, resistendo alla volontà di un loro abbattimento per meri scopi cari alla classe imprenditoriale, di identificare in quale categoria inquadrare i lavoratori che operano nell’attuale contesto socio-economico.

Se, infatti, è vero, come è vero, che ogni schema di inquadramento di un dato fenomeno umano sotto quella determinata categoria, per ciò elaborata, abbisogna dell’ovvia declinazione del teorico nel pratico, ossia della verifica della sussistenza di tutti gli elementi teorizzati per l’inquadramento in questione, allora è vero che è sufficiente, a prescindere dal modo in cui il capitale articola la sua produzione, capire se in un dato ambito produttivo possono o meno ricavarsi gli elementi tipici della subordinazione per giungere alla conclusione che il rapporto non è autonomo!

Ed è proprio ciò che si è fatto nel caso di specie, andando al di là del modo di produrre dell’emittente/radio, ed anzi proprio partendo dal sistema digitalizzato con cui si elaborano e strutturano, tanto i programmi che vanno in onda, quanto la prestazione del dj che li conduce.

Siamo giunti a comprendere e a far accertare al Giudice che i dj nostri assistiti erano figure molto diverse da quella del lavoratore che autonomamente organizza la propria conduzione radiofonica. Ma piuttosto una figura per nulla diversa da quella di ogni altro lavoratore subordinato che è organicamente, rigidamente ed indispensabilmente inserito, come una piccola rotellina di un ampio ingranaggio, nel ciclo produttivo aziendale.

Una vera e propria subordinazione seppure concretizzatasi attraverso un sistema digitalizzato (verrebbe da dire moderno) ed un ufficio direttivo artistico che hanno sempre stabilito cosa dire (contenuti dell’intervento del dj), il momento esatto in cui farlo e per quanto tempo: il tutto rigorosamente scandito e dettato da timer e monitor del pc.

Ordinanza Tribunale Monza del 29.05.2019.pdf

Sentenza Monza n. 123_2020 del 05.03.2020.pdf

La sentenza del Tribunale di Monza del 5.03.2020 è stata oggetto di reclamo da parte del datore di lavoro avanti la Corte d'Appello di Milano.

Ebbene, la Corte d'Appello di Milano, nella sentenza che qui sotto vi alleghiamo, ha rigettato il reclamo e confermato la sentenza resa dal Tribunale di Monza all'esito della fase di opposizione.

Sentenza C.A. Milano n. 553_2020.pdf

Alla receptionist ed istruttrice di tennis di un Centro Sportivo, inquadrata non come lavoratrice subordinata ma assunta con contratto di collaborazione sportiva ex art. 90 L. 289/2002 abbiamo fatto ottenere:

- l’inquadramento come lavoratrice subordinata ed il diritto al pagamento delle differenze retributive (e quindi anche contributive) connesse alla mancata assunzione con contratto di lavoro subordinato;

- il diritto a riottenere il posto di lavoro con diritto a percepire tutte le retribuzioni perse dalla messa in mora al momento della effettiva riammissione in servizio.

Al lavoratore interinale che ha prestato attività per oltre 4 anni con contratti di somministrazione che recavano una causale di utilizzazione non specifica e inveritiera abbiamo fatto ottenere la costituzione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore ed una indennità risarcitoria pari a 10 mensilità. La decisione favorevole al lavoratore ottenuta in primo grado è stata confermata anche all’esito del giudizio di appello.

Alla ballerina di teatro assunta per oltre dieci anni con contratti a termine, alcuni dei quali “stagionali”, abbiamo fatto ottenere la conversione dei vari rapporti a termine in un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall’inizio, oltre a tutte le retribuzioni non percepite dalla data dell’illegittima estromissione alla data in cui ha offerto di riprendere a lavorare, ed oltre al rimborso delle spese legali.

Il Giudice ha infatti stabilito che: <<perché un’attività possa qualificarsi “stagionale”, proprio per distinguerla dall’attività lavorativa che dura tutto l’anno, è necessario che la stessa abbia una durata limitata nell’ambito dell’anno, che secondo la Suprema Corte di Cassazione può essere esteso fino ad otto-nove mesi (cfr. Cass. 20.10.1993 n. 10401).

Orbene, nel caso in esame i contratti, con le relative proroghe, sono stati stipulati senza soluzione di continuità dal 17.8.1998 al 30.06.2002, con brevi interruzioni di circa un mese in agosto e, quindi, per una durata annuale con interruzione dell’attività lavorativa nel solo periodo delle ferie estive, come per ogni lavoratore che lavora tutto l’anno>>.

Quanto agli altri contratti di lavoro a tempo determinato (non contrattualmente definiti come “stagionali”), il Giudice ne ha parimenti decretato la nullità osservando che:<<nel caso di specie tutti i contratti indicano quale causale giustificativa della apposizione del termine lo svolgimento, da parte della ricorrente, dell’attività di ballerina per tutta l’attività prevista nel periodo di riferimento della stagione sinfonica, lirica e di balletto, e con specifico riferimento a determinate produzioni.

Manca in sostanza l’indicazione delle ragioni sottese alla necessità di ricorrere all’attività a tempo determinato della ricorrente.

Né la specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo può essere ritenuta soddisfatta dalla mera indicazione degli spettacoli cui avrebbe partecipato la ricorrente, coincidendo gli stessi in sostanza con l’intero programma di spettacoli allestiti dalla convenuta nel periodo di riferimento.>>.

All’educatrice assunta con plurimi contratti di collaborazione a progetto abbiamo fatto ottenere l’accertamento della nullità dei contratti perché privi di uno specifico progetto e di un risultato da raggiungere ed il ripristino del rapporto di lavoro con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, oltre al rimborso delle spese legali.

In particolare, la Corte d’Appello di Milano ha rilevato che:

-         <<la ricorrente aveva dei turni di presenza settimanali prestabiliti che venivano stabiliti mensilmente, che nelle riunioni settimanali tra il coordinatore e gli altri operatori venivano valutate le attività da svolgere e il x dava delle direttive e delle indicazioni su come operare, che gli stessi, attesa la delicatezza dell’impegno che riguardava problematiche connesse al disagio giovanile, dovevano attenersi alle indicazioni ed alle decisione di massima da lui prese….le assenze non improvvise dovevano comunque essere comunicate nella riunione settimanale, di modo che si potesse effettuare una sostituzione e l’operatore veniva tolto dal “turno di apertura”>>;

-         <<gli elementi di prova emersi non consentono di ritenere la sicura natura autonoma del rapporto atteso che la collaborazione autonoma presuppone una autonomia organizzativa dell’attività lavorativa, nei tempi e nelle modalità di esecuzione che nel caso in esame non sembra fondatamente sussistere>>.

Al letturista di contatori collaboratore a progetto dell’azienda appaltatrice abbiamo fatto ottenere la dichiarazione di illegittimità dei contratti a progetto ed il riconoscimento della natura subordinata del rapporto con diritto al pagamento di tutte le differenze retributive e competenze di fine rapporto dovute, oltre il rimborso delle spese legali.

All’impiegata addetta all’orientamento e accompagnamento al lavoro ed a progetti di reinserimento lavorativo, illegittimamente inquadrata come collaboratrice a progetto, abbiamo fatto ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto con il diritto a percepire tutte le differenze retributive maturate ed il rimborso delle spese legali.

All’assistente di volo assunta con contratto di lavoro a termine <<per punte di più intensa attività>> poi prorogato, abbiamo fatto ottenere l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto ed il diritto ad essere riammessa in servizio ed a ricevere un risarcimento del danno pari a 5 mensilità oltre il  rimborso delle spese legali.

Ad un gruppo di operatori di assistenza di un’Assicurazione, tutti assunti con contratto di apprendistato, non confermati al termine dell’apprendistato, abbiamo fatto ottenere l’accertamento della illegittimità dei contratti per mancato rispetto delle percentuali di trasformazione del numero dei contratti di apprendistato stipulati dall’azienda e scaduti nei 36 mesi precedenti l’assunzione dei ricorrenti. L’azienda è stata condannata a reintegrare i lavoratori in servizio, a corrispondere loro tutte le retribuzioni perse dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre il rimborso delle spese legali.

Abbiamo fatto annullare contratti di somministrazione illegittimi e conseguentemente fatto ottenere al lavoratore la conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato perché la causale giustificativa del termine apposto al contratto era assolutamente generica o addirittura assente.

Alla venditrice di spazi pubblicitari su google che aveva lavorato senza regolare contratto e senza essere pagata abbiamo fatto ottenere l’accertamento del contratto di lavoro intercorso con il corretto inquadramento ed il diritto a percepire gli stipendi ed il tfr maturati oltre il rimborso spese legali.

Alla ballerina che aveva prestato attività in forza di sette contratti di lavoro a termine abbiamo fatto ottenere la conversione in unico contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall'inizio ed il diritto ad essere riammessa in servizio e a percepire tutte le retribuzioni perse dalla data di messa in mora fino alla effettiva riammissione, oltre il rimborso delle spese legali. Il Giudice nel ritenere generica e quindi nulla la causale dei termini apposti ai contratti ha stabilito che: <<Né la specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo può essere ritenuta soddisfatta dalla mera indicazione degli spettacoli cui avrebbe partecipato la ricorrente, coincidendo gli stessi in sostanza con l'intero programma di spettacoli allestiti dalla convenuta nel periodo di riferimento dei singoli contratti>>. 

Abbiamo fatto annullare e convertire in rapporti di lavoro subordinato fin dall’inizio i contratti a progetto che riportavano i seguenti illegittimi progetti:

-         <<servizio di monitoraggio e rassegna stampa quotidiana dal web>>;

-         <<implementare la fase di presa in carico degli utenti, l’erogazione dei servizi al lavoro e di ricerca delle aziende relativamente all’attività di inserimento lavorativo>>;

-         <<attività di consulenza e assistenza operativa per la progettazione e realizzazione di un servizio di assistenza su tecnologie Microsoft con particolare riferimento agli strumenti per la gestione dell’help desk remoto, rivolto agli utenti, per uno dei clienti della società committente>>;

-         <<ridurre i disagi e migliorare le condizioni quotidiane di vita di giovani migranti e non che vivono nelle strade di Milano e dormono in baracche, treni e case abbandonate; migliorare la capacità dei ragazzi di percepire e comprendere la propria situazione…>>;

-         <<introdurre un nuovo settore di attività finalizzato all’erogazione di formazione specifica …all’utilizzo di software applicativi per la gestione di agenzie di assicurazione. L’attività formativa potrà essere di tipo frontale presso a sede…>>.

All’operatrice telefonica outbound inbound nonché impiegata amministrativa di back office abbiamo fatto ottenere l’annullamento del contratto termine illegittimo con il quale era stata assunta. Il Giudice ha infatti stabilito che – nonostante l’azienda avesse motivato l’assunzione con la necessità di adempiere ad una specifica commessa – tuttavia <<sarebbe stato necessario ed indispensabile che la società allegasse e documentasse l’effettiva consistenza del proprio organico a tempo indeterminato e il volume di ore lavorate in precedenza l’acquisizione della commessa, per poter consentire al giudicante di vagliare (pur senza sindacarla nel merito) la scelta di ricorrere ad assunzioni a termine>>.

Una pronuncia analoga, sulla medesima fattispecie, l’abbiamo ottenuta anche dal Tribunale di Milano.

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